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QUELLA VOLTA CHE IL TENNIS CAMBIÒ IL MONDO

Kyrgios vs Sabalenka è stato solo spettacolo, la vera "Battle of The Sexes" fu una rivoluzione.

Se state leggendo queste righe, probabilmente avete buttato un occhio a quella che ci hanno venduto come la "Battle of the Sexes" moderna tra Nick Kyrgios e Aryna Sabalenka, o almeno avrete visto qualche clip virale sui social.

Se invece non avete idea di cosa io stia parlando, facciamo un breve riassunto.

Il 28 dicembre 2025 alla Coca-Cola Arena a Dubai, davanti a circa 6000 persone, è andata in scena un'esibizione dal nome forse un po’ troppo ingombrante per la realtà dei fatti.
Si è giocato al meglio dei 3 set, con un solo servizio a disposizione (sbagli la prima? Punto all’avversario) e con il campo di Sabalenka del 9% più piccolo. Gli analisti di Evolve — l’agenzia che rappresenta entrambi e che ha organizzato l’evento — sostengono che questa percentuale compensi la differenza media nella velocità di movimento tra uomini e donne.
Il tutto è stato fatto per appiattire le differenze fisiche, o almeno provarci…

Com'è andata? Beh, ha vinto Kyrgios 6-3 6-3.
Ci sono stati vari scambi interessanti, ma più di una volta c’era l’impressione che i due si volessero divertire più che competere.

Nick ha fatto il giullare, e dalla quantità di sudore che ha emanato si capiva che non giocava un match “ufficiale” da parecchio.
Aryna invece ha sorriso molto ed ha pure chiamato un time-out per ballare la macarena…

Insomma: è stata un’esibizione più o meno divertente, ma dovremmo relegarla a semplice esibizione.
E sottolineare questa parola con la penna rossa.
Non deve essere fatta passare per qualcosa che non è.

Lasciatemelo dire: chiamare quella di ieri "Battaglia dei Sessi" è quasi un sacrilegio. È come paragonare un reel di Instagram a un film di Kubrick.

Ma soprattutto è svilente per ciò che è stato e ciò che ha significato l'evento originale.

Perché la vera battaglia, quella con la B maiuscola, non fu un’esibizione per sponsor e TV. Fu una guerra culturale combattuta con racchette di legno tra Billie Jean King e Bobby Riggs.

Mettetevi comodi, perché oggi Tennis Radar vi porta nel 1973. E vi assicuro che è una storia che vale la pena leggere.

MA CHI È BILLIE JEAN KING?

Prima di arrivare a quel fatidico match, dobbiamo capire chi è l'eroina di questa storia.
Se seguite il tennis in TV, l’avete vista sicuramente. È impossibile non notarla, ed è una presenza fissa che veglia sul tennis moderno come una divinità protettrice.

È quella signora spesso inquadrata sugli spalti nelle finali degli Slam: capello corto, giacca impeccabile e, soprattutto, occhiali dalla montatura di qualsiasi colore elettrico immaginabile.

Bene, questa signora non è lì per caso, è una figura mitologica. È talmente importante che la vecchia Fed Cup (la “Coppa Davis femminile”, quella che le nostre ragazze hanno vinto anche quest’anno) da qualche anno è stata ribattezzata Billie Jean King Cup.

Non è un caso nemmeno che la sua splendida autobiografia si intitoli "ALL IN".
Due parole che dicono tutto.
Billie Jean non si è mai tirata indietro, ma ha sempre messo tutte le fiches sul tavolo: per il tennis, per i diritti, per tutti.

Lei è la donna che ha “inventato” il tennis femminile professionistico. Insieme a un gruppo di ribelli chiamate "Original 9", firmando un contratto simbolico da 1 dollaro, ha fondato nel 1970 il Virginia Slims Circuit che tre anni dopo si sarebbe evoluto nella WTA (Women's Tennis Association).
Il suo obiettivo non era solo alzare coppe, ma permettere alle donne di competere, guadagnare e avere la stessa dignità professionale della controparte maschile.

Senza il suo "All In", oggi Iga Swiatek e Aryna Sabalenka probabilmente giocherebbero nei circoli il sabato pomeriggio per svago.

IL NEMICO PERFETTO: BOBBY RIGGS

Nel 1973, però, il mondo era diverso. Le donne guadagnavano una miseria rispetto agli uomini e venivano considerate "accessorie" al vero spettacolo.
Per fare la rivoluzione serviva un antagonista e il destino fornì quello perfetto: Bobby Riggs.

Ex numero 1 al mondo degli anni '40, a 55 anni Riggs era diventato uno scommettitore seriale e un provocatore di professione. Si autodefinì orgogliosamente “porco maschilista sciovinista”.

Tranquilli, se vi siete appena chiesti “cosa significa sciovinista?” non siete i soli, google dice: “nazionalista acceso e fanatico”.
Prego.

Tornando a noi, la sua tesi era brutale e semplice: "Le donne non dovrebbero giocare. Stanno meglio in cucina e in camera da letto. Anche io, con un piede nella fossa, posso battere la migliore di loro."

Purtroppo, non erano solo chiacchiere da bar.
Qualche mese prima dell’evento che vi sto raccontando, aveva umiliato Margaret Court — l’allora numero 1 del mondo — per 6-2 6-1. Il panico si diffuse.
Se un 55enne fuori forma poteva annientare la campionessa in carica, allora avevano ragione i critici: il tennis femminile era una farsa.

A quel punto Billie Jean King capì che non poteva più tirarsi indietro.
Dopo aver rifiutato una volta la sfida ed aver visto la Court perdere, capì che non era più una questione di sport, era una questione di sopravvivenza.
"Se avessi perso, saremmo tornate indietro di 50 anni. Avrei rovinato il tour e l'autostima di tutte le donne" confesserà anni dopo.

HOUSTON, 20 SETTEMBRE 1973: QUANDO LA STORIA CAMBIÒ

Immaginate la scena all'Astrodome di Houston.
Oltre 30mila spettatori sugli spalti e 90 milioni di persone incollate alle TV di tutto il mondo.

L'ingresso in campo fu la cosa più pacchiana e americana mai vista: Riggs arrivò su un risciò trainato da modelle, indossando una giacca gialla con la scritta "Sugar Daddy". Billie Jean entrò su una portantina in stile Cleopatra, sollevata da quattro uomini muscolosi a torso nudo.



Sembrava un carnevale.

Appena cominciò il match, il circo finì e iniziò la lezione.
Tutti si aspettavano che la King giocasse il suo solito tennis d'attacco, servizio e discese a rete a non finire. Riggs contava proprio su quello: voleva rallentare il gioco, usare pallonetti e smorzate per mandarla fuori giri, come aveva fatto con la Court.

Ma Billie Jean non si fece cogliere impreparata e cambiò tutto: cambiò strategia e rifiutò la rete. Rimase a fondo campo iniziando a farlo correre.
Destra, sinistra, destra, sinistra.
Il 55enne Riggs, che aveva trascurato la preparazione atletica, iniziò a sudare.
Poi ad ansimare.
Poi a crollare.

Il punteggio fu inappellabile: 6-4 6-3 6-3 per Billie Jean King.
Riggs saltò la rete e le sussurrò nell'orecchio: "Ti avevo sottovalutata".

L'EREDITÀ: "PRESSURE IS A PRIVILEGE"

Come ha fatto questa ragazza a non crollare davanti a oltre 90 milioni di persone, sapendo che una sconfitta avrebbe distrutto i sogni di tutte le sue colleghe? La risposta è in una frase che Billie Jean King stessa ha reso immortale, e che oggi troneggia su una targa all'ingresso dell'Arthur Ashe Stadium a New York, dove si gioca la finale dello US Open:

Molti fuggono dalla pressione, lei l'ha abbracciata.
Billie Jean aveva capito una verità fondamentale: se senti la pressione, significa che sei nella posizione di fare la differenza. Significa che l'occasione è importante.
Quella notte a Houston, il privilegio era quello di poter cambiare la storia con una racchetta.
E lei non lo ha sprecato.

Ed è proprio per questo che oggi ho voluto fare un salto nel passato, all'indomani dello show — probabilmente milionario — di Kyrgios e Sabalenka. Perché è facile guardare il tennis moderno e darlo per scontato. Vediamo stadi pieni, montepremi uguali negli Slam, atlete che sono icone globali.
Tutto questo poggia sulle spalle di quella donna con gli occhiali elettrici che decise di trasformare la pressione in carburante.

Mentre scrivevo queste righe, mi è tornato in mente il celebre spot della Apple, quello che in italiano è stato doppiato magistralmente dal gigante Dario Fo:

"Questo film lo dedichiamo ai folli. Agli anticonformisti, ai ribelli, ai piantagrane, a tutti coloro che vedono le cose in modo diverso.”

Ecco, Billie Jean King era una di quei "folli". Una ribelle in un mondo di regole rigide. Hanno provato a ignorarla, a ridicolizzarla, ma lei ha cambiato le cose.

Quindi, per chiudere, l'evento dell’altra sera è stato divertente, certo. Ma era intrattenimento.
Quello del 1973 è stato storia.
Se volete celebrare il vero tennis, fate un brindisi a Billie Jean o recuperatevi il film Battle of the Sexes con Emma Stone e Steve Carell (è del 2017, lo trovate su Disney+).

Perché se oggi possiamo goderci questo sport meraviglioso in tutte le sue forme, è soprattutto grazie a lei ha avuto il coraggio di pensare diversamente.

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Lorenzo